
Si intuisce tutta la storia di Roberto Bertani dalle sue Opere, dai quadri che parlano di lui e scrivono quasi un’annotazione quotidiana delle emozioni che vive in una Natura rappresentata da poco cielo e molta terra, attraversata dalle tensioni di tutto ciò che freme e si muove in essa, da un vento burlone che scuote arbusti e fronde, muove uno scorcio della folta vegetazione, vissuto dalla pittura stretta alla vita stessa, fatta d’aria, di luce, di forme che scompigliano il succedersi dei piani, da una prospettiva strana, arbitraria, spinta da un’ansia che con magica sorpresa sfrangia anche la linea dell’orizzonte. Di grande e forte talento, di spirito vivace e libero, Roberto Bertani adora dipingere, mette tutto se stesso nel suo fare Arte da cinquant’anni: è uomo di straordinaria vitalità che traccia linee per creare volumi con gesti ampi, slanci gonfi di vento e tratti minuti che illustrano tutta l’articolazione nel tempo e nello spazio. Dall’iniziale studio con i grandi maestri, alla costante sperimentazione condotta in modo serrato per anni, all’espressione matura, l’impianto scenico delle ampie composizioni, il senso della profondità e dell’originale scrittura documentano l’espansione di una poetica che moltiplica la propria espressiva qualità, in un tripudio tonale intriso di liricità, che suscita stupore. L’Artista Roberto Bertani è un estroso distillatore dello spirito nascosto all’interno della Natura: nella quiete di un paesaggio agreste crea una variegata antologia di pitture, notevole per il taglio personale, per la sua particolare cifra stilistica che trasporta sulla tela con improvvise folate una visione inusuale del movimento di arbusti, piante e fiori, con le colline sullo sfondo e i piccoli dettagli in primo piano, accentuati con mano vibrante. Le Opere di Roberto Bertani sono simili ai sismografi di questo fluente senso cosmico e registrano l’organicità delle molteplici energie segrete che percorrono la terra. La sua tecnica inconfondibile deriva dai tanti colori distesi con pennellate rapide e agili a comporre sensazioni, incastonate per rappresentare una perfezione che sente profondamente dentro di sé: l’Artista non vuole solo riprodurre la Natura, ma ritrarla insieme all’emozione che gli provoca per poi comunicarla agli altri, e condividerla universalmente. Si percepisce che ogni volta che l’Artista poggia il pennello sulla tela insegue una visione o meglio un sentimento che cerca di esternare con forza e determinazione. E’ una necessità che urge dal profondo, che sgorga con intensità dai suoi sensi nella volontà di possedere tutta la magnifica ricchezza di cromie, di vibrazioni che anima il Creato: dalla pace del verde al rosso che sorride, che aggetta e balza incontro, dall’eccitazione del giallo all’azzurro di un’intimità che raccoglie le parole del giorno nell’incontro pacato della sera. Il suo grande atelier è situato alle porte di Verona, e l’Artista Roberto Bertani sente forte il legame sia con il lussureggiare di una campagna piena di tonalità sia con la città carica di storia e di tradizione, che ha come protagonisti i veronesi e l’ambiente, le architetture e i paesaggi che mescolano abilmente usanze e leggende locali con fatti e quotidiane esperienze, per ottenere distese composizioni che sommano ciò che siamo stati e come siamo ora, il passato e l’oggi, fino a quello che verrà. Roberto Bertani si spinge con maestria all’interno delle folle che animano le feste cittadine, diventa uno di loro, seduto sui gradoni dell’Arena o sommerso dalla gente al Carnevale in Piazza Bra. Dietro la sfilata del “Papà del Gnoco” è testimone di una bellezza costruita con proporzioni alterate, con contorni asimmetrici, con architetture disarticolate: scompone e manda in frantumi identità e fisionomie per raffigurare la totalità delle masse, per consolidare con compattezza la monumentalità dell’insieme. Non importano, non contano più le angolazioni dissonanti, resta solo l’esserci, il partecipare qui e ora, al nostro presente.
Quel che colpisce nella pittura dell’artista veronese è la continua motilità dell’immagine. Non c’è momento di inerzia, nemmeno in certi angoli che potrebbero apparire secondari. Tutto diventa “struttura”: compatta e tesa. Le pennellate sono a larghe e corte campiture, distaccate in genere l’una dall’altra ma unite dal serrar della composizione. La forma quindi, malgrado la frammentazione dei segmenti, diventa unitaria; ed il colore fluisce con una vivacità che raccorda i timbri alti ai toni lievi, le tinte calde a quelle fredde, gli spazi aperti alle distensioni pacate. Tutto obbedisce, in sostanza, a quella “reductio ad anum” cui tendeva l’estetica rinascimentale. Una energia interna guida ogni soggetto: i paesaggi collinari, marine burrascose, fiori che s’accendono, messi che ondeggiano al vento, case bianche sulla costiera, cespi d’erba, montagne cristalline. Rare le figure; ma la loro presenza è sottesa, proprio come un’integrazione, s’è detto, tra uomo e natura. Ecco il succo della pittura di Bertani: l’umanizzazione della natura: In un altro dei suoi quadri migliori si scorge sul fondo una maestosa montagna innevata, che il sole inonda. In basso essa si riflette, smorzata nei toni, sul laghetto: ed è un effetto straordinario. Quella mescolanza di tra toni caldi e toni freddi, tra bruni secchi e ocre gialle, ci dà il senso di una antropizzazione del Creato, alla maniera di Segantini. Proprio la tecnica di Bertani, con il ritmo netto di colpeggiature larghe e corte, consente l’armonizzazione degli opposti. E’ il caso di una veduta della costiera mediterranea, con quelle casette bianche in primo piano che sullo sfondo si uniscono alla terra riarsa dal sole, mentre una luce strana avvolge il tutto, proveniente da una conturbante eclissi. Ogni aspetto della pittura, riporta, cioè, un brandello di pensiero, di sentimento, di emozione. Non sorprende, allora, il fatto che Bertani, pur partito trent’anni fa da una pittura più composta e mite, cioè meno dinamicizzata, abbia avuto un percorso lineare: perfettamente coerente. C’è stata, naturalmente, la lezione di qualche maestro (soprattutto Zangrandi) ma è come se l’artista avesse intuito fin dall’inizio la sua strada. Lo constatiamo oggi nel riunire, uno accanto all’altro, i quadri di ieri e di oggi. Il colore s’è acceso, le forme si sono fatte più nervose. Bertani è arrivato ai limiti dell’astrazione senza però mai superarli (basti vedere certi intrichi di vegetazione scompigliata dal vento). L’interazione nella natura è diventata per lui una sorta di ansia di immedesimazione con il paesaggio, con la visione ardente delle cose. Vieppiù si è raffinata la qualità dei rapporti cromatici, che si fa talora preziosa pur nell’irruenza delle stesure. Ma è proprio qui il “miracolo”: la tensione della mano si coglie immediatamente, ma è la mente che giunge sempre alla sintesi. Immagine, appunto come tessuto biologico, come concatenazione di opposti, quindi come dialettica interna. Una pittura così, proprio perché sgorga direttamente dai sentimenti ed è sorretta da una mente lucida, non sopporta etichette: Non potremmo chiamarla né impressionista, né espressionista: di entrambi i termini essa coglie alcuni elementi, non la loro totalità. E’ chiaro che se la bora scuote le vele lungo la riva, si percepisce il fremito di un movimento persino agitato; così, se l’occhio s’appunta sul viluppo contorto d’un tronco di ulivo, la forma stessa comporta un forte coinvolgimento simbolico. Ma se appare un mazzo di fiori ben composto, ecco che se ne coglie il rapporto succoso dei colori in una dimensione sensuale; e magari lungo una distesa di campi in primavera splendono le armonie dei rosa, dei gialli, degli azzurrini in una sinfonia perfettamente orchestrata. Ogni quadro è un momento emozionale: l’unità dello stile nasce, semmai, dalla coerenza interna dell’uomo, cioè dall’intensità dei suoi cromosomi. Allora è chiaro che quello stile, appunto, nasce da una “verità biologica” che si annida nel sangue stesso dell’artista. Che poi il vitalismo dell’espressione - come nel nudo citato all’inizio - nasconda un senso di precarietà esistenziale, questo fa parte della nostra stessa essenza.
In Bertani si assiste al rapinoso sovvertimento delle forme, contemporaneamente ravvivate e consumate da una luminosità assoluta, prima che esse rientrino nel caos donde uscirono spietate e avvolgenti. Egli le impasta lì come materia carnale e vegetale e tutto rimane ancora preciso anche se magmatico: accarezzato e raspato. Un naturalismo che si scioglie in una espressività frenetica. L’abbraccio dei dirupi martoriati o, più giù, delle spiagge, dei mari che si alzano verticali portandosi dietro brani di velari o conchiglie giganti, non esibisce gli immensi ritmi d’argento, volatili contro il cielo impossibile dell’informale, ma è come pressato in uno spazio sotterraneo dove tutto, per gestazione e sfacelo, pare in soffocata, fervida elaborazione. Più che fiutare le arie, insomma, Bertani tasta la terra, cerca l’odore strafatto, scalza i sassi, le erbe, vive di sentimenti panici, contadini: spezza con la roncola, adopera dure garze piuttosto che velluti: perché sente che solo saccheggiando riesce a svuotare veramente il paesaggio dei suoi succhi e farlo infine suo. E poi egli ha una sua mania di interrogare ancora la vita con i segmi scarni di una grafia che può apparire stanca, o energica, o monotona. Ma che si alza sempre come una smagata comunicazione: un respiro dopo il “soffocamento” della materia. Il tempo di Bertani, tutto il suo tempo, passato e al di là da venire è comunque come se fosse interrotto in quei pochi centimetri di mondo, in quelle bave ubriache che di continuo si rincorrono e si stringono e seguono curve e macchie e sfilacciature di paese.
Roberto Bertani è il giovane pittore concittadino che espone una serie nutrita di paesaggi alla Galleria “Giò”, di Via Teatro Filarmonico, di cui si notano sia la potente strutturazione del disegno che la forte accensione coloristica. A questo riguardo è il caso di segnalare il coraggio impaginativo del Bertani, con i suoi “tagli” prospettici dedicati perlopiù alla collina veronese, con delle trasversalità, delle evidenze quasi aeree, che si realizzano linee visive emotive e pulsanti di partecipazione. Il pittore insegue l’immagine con materie e pigmenti coloristici spessi e, perfino, violenti nelle incarnazioni della figurazione, e l’andamneto del paesaggio segue una sua ritmica interna: in bilico tra le linee di forza e la vera e propria modulazione geologica. Case, alberi, fiori ed arbusti, diventano un insieme naturale inscindibile, e sono trattati alla pari, nei contrasti o nelle aderenze del colore, che è una presenza altrettanto fisica, tattile, umana. Bertani nel far ciò “tradisce coraggiosamente la tradizione veronese, facendo ricordare semmai, fatti debiti raffronti un Angelo Zamboni, o magari un Gino Rossi e Birolli per andare a indicazioni più evidenti. Infatti la descrizione è sommaria e si assapora piuttosto una frenesia di sintesi, che vive con intensità e con semplice linea elaborative, il blocco della figurazione: come la scena del paesaggio, che si fa quadro, avesse interni moti ed aspirazioni vitali da riplasmare e umanizzare fino in fondo. Bertani preferisce la collina, ma s’innalza per la Valpantena o la Val Squaranto senza timori; e la natura domina in una visione popolare sincera e amata, o quasi vernacola nel suo forgiarsi plastica e potentemente tattile. C’è nel pittore un desiderio di possesso, quasi di far sue le immagini del “vero”, e così la materia si calcina, si umorizza, si fa spessa e contrastata, come per entrare in una evidenza naturale ed eterna, e di adagiarvisi dentro per sempre.
L’anagrafe ci dice che Bertani sta avviandosi verso la maturità ed io ritengo che le sue opere possano ormai testimoniare l’analogo fenomeno sul piano artistico. E’ giunto, quindi, il momento di riconoscere che la sua attuale produzione appalesa chiaramente, con innegabile validità sul piano artistico, un timbro squisitamente bertaniano. Bertani si presenta ora con una veste di piacevole, sereno realismo, affrancato da sudditanze e non certo riconducibile ad esperienze precubiste o ad evoluzioni di uno dei tanti filoni espressionisti. La sua pittura si offre onesta al fruitore per un meritato ed adeguato apprezzamento.
Su questa line di verismo trasfigurato lavora l’artista che presento oggi: Roberto Bertani. E’ un nome nuovo, ma che ha tutti i diritti, voglio dire i meriti di essere “lanciato”. Osservando le sue tele si fanno presenti di primo colpo dei ricordi. Cézanne? e vicino a noi, Trentini, Farina? o il suo maestro Zangrandi? Tutti, ed altri ancora, o nessuno. Nessuna imitazione. Il pittore corre autonomo e può stare a petto di qualunque pittore nostrano vivente. Temi della sua visione poetica? I nostri monti, i nostri Lessini, con i loro infiniti verdi di innumerevoli tonalità, rotti d’improvviso da macchie di rosato e di zuppa cangiante ed oscura. Che dominano i verdi è chiaro, ma forti, vivi, ben lontani da ogni cartolinismo. C’è una tela “Primavera”, di una poesia tale che forse merita il primo premio. E quelle barche? Mi ricordano il nostro caro e dimenticato Flangini, Ma qui in Bertani è un’altra cosa. Bertani è ancora molto giovane e se lo spirito lo sostiene non si può prevedere dove arriverà. L’ambiente familiare, necessario per lavorare, pur nelle ore concessegli dal suo mestiere, è invidiabile: una dolce sposina tutto sorriso e due fiori di bimbi. Bertani ha esposto al Circolo Ufficiali di Castevecchio fino al 18 maggio 1980
Roberto Bertani individua nella realtà gli elementi che costituiscono, nella struttura del dipinto, una visione matericamente e cromaticamente complessa, nei grumi e negli inspessimenti della quale è intrinseca la luce, intensa non tanto come elemento naturalistico, quanto come radice di una profonda emozione poetica. Il procedimento, che ha origini in un casto e talvolta aspro approccio con il “motivo” si arricchisce, quadro dopo quadro, con la modalità con le quali il colore va a definire la campitura prospettica, divenendo - al contempo - volume. A mezza via, dunque, da una accensione interiore di timbro quasi espressionistico e da una cosciente volontà di recepire l’intima natura del soggetto ritratto, l’intervento del Bertani sulla tela riesce miracolosamente a rendere una soffusa e delicata levità, pur nelle apparentemente improvvise pezzature rutilanti. In tal modo si enuclea la visione artistica sua propria nella quale l’esito poetico, il suonare ampio e commovente, sovrana il momento meramente stilistico. Nonostante certi inizi novecentisti, certo rigore nella determinazione dei contorni (rilevabile soprattutto nella grafica) la sua personalità supera i limiti delle sue tipiche modalità operative, raggiungendo pienezza di risultato e di comunicazione, giudicando l’artista con l’occhio di chi segue le radici regionali della nostra pittura - lo si definirebbe già, per tal modo, un maestro, nel senso che il suo quadro è perfetto e concluso nell’ambito delineato. Ogni approffondimento, nella direzione scelta, non potrà che essere cha una costante riscoperta della qualità all’interno di tale processo.
La prima volta che presentai l’amico Bertani fu nel 1968 in occasione della sua prima personale. Ci troviamo ora, dopo quasi sei anni a questo nuovo appuntamento e devo riconoscere, ed è un piacere farlo, che il Bertani, nonostante abbia al suo attivo numerose partecipazioni, ha saputo mantenere quella genuinità di spirito che lo ha caratterizzato fin dai primi approcci con quest’arte tanto difficile e tanto discussa. In questo arco di tempo, non è mai mancato all’appuntamento con le più importanti manifestazioni artistiche della nostra provincia e, bisogna riconoscere che il successo incontrato lo merita pienamente considerando che questo giovane, sacrifica tutto il suo tempo libero allo studio e alla pittura. L’augurio più sincero che faccio è quello di preservare con la stessa costanza che hai dimostrato fino ad oggi.