Disegnare il proprio destino

Roberto Bertani ha percorso diverse strade comunicative, miscelando forme espressive e creazioni originali. L’immagine dell’artista isolato e fuori dal mondo a Roberto Bertani stava stretta. Pittore formatosi praticamente “a bottega”, ha deciso di trasformare il mezzo della propria espressione personale in attività lavorativa, per mantenere la propria indipendenza e realizzare appieno una visione dell’arte basata sulla necessità di contatto con gli altri. Il suo è diventato un percorso composito, tra pubblicità e calendari, editoria e fotografia, nella costante ricerca di strumenti per capire e comunicare.

Intervista

Ci racconti la sua storia.

Da piccolo abitavo a Villa di Quinzano (VR) con la mia famiglia. La forza di mio padre è stata molto importante per me, mi stava vicino e ho sempre saputo di poter contare su di lui.

Da dove viene la sua passione per l’arte?

Mi sono avvicinato alla pittura a circa tredici anni. Sono passato da porta Borsari e ho visto la vetrina di una drogheria dove erano esposte le scatole di colori, pennelli e le tavolozze. Ho sentito un’emozione diversa, tipica di quando si vede qualcosa di entusiasmante, e da lì si è aperta la mia strada. Ho acquistato i primi colori ed il primo cavalletto e per un anno ho dipinto da solo. Questo finchè,mentre lavoravo mezza giornata da mio zio che aveva un ingrosso di carne, iniziai a frequentare di pomeriggio lo studio di quello che sarà il mio maestro, Domenico Zangrandi. Sotto la sua guida, dal 1964 al 1969, ho appreso le tecniche della pittura a olio, della punta secca e dell’acqua forte. Io arrivavo con le brioches, le dipingevamo nella composizione di nature morte quadri che ancora conservo gelosamente e alla fine ce le mangiavamo. In quel periodo ho conosciuto lo scultore Augusto Brunelli, a Quinzano, e proprio nel suo studio ho sviluppato una grande ammirazione per la scultura, che non ho mai praticato molto. Penso che uno scultore sia un pilastro, una roccia che a sua volta produce opere mastodontiche, dense di forza.

E poi?

A sedici anni ho iniziato a frequentare anche il Circolo Artistico Nardi alle Golosine, introdotto dal mio maestro Zangrandi, dove a diciotto anni ho tenuto la mia prima mostra personale. È stato veramente entusiasmante, tutti mi hanno trasmesso delle conoscenze valide, da cui sono partito per portare avanti la mia visione. È venuto poi il tempo del servizio di leva. Io, che non mi ero mai mosso da Verona sono stato mandato al Car a Sassari. Qui, grazie all’interesse che le mie opere suscitavano, ho avuto l’occasione di continuare a dipingere negli alloggi degli ufficiali. In seguito sono stato trasferito nel Corpo Granatieri a Roma dove ho frequentato il Liceo Artistico Bernini serale.

Quali sono i suoi artisti di riferimento?

Giorgione è stato la mia prima fonte d’ispirazione. Avevo tredici anni quando ho potuto sfogliare un libro che ne parlava. Sono rimasto molto colpito da “La Tempesta”, con i lampi e la donna con il bambino. E poi Zangrandi mi ha sempre trasmesso la forza del suo carattere burbero, che in qualche modo si rifletteva nelle sue figure. Possiedo ancora diverse sue opere, in ricordo di questa persona che ha avuto un’influenza così importante per la mia crescita personale.

Come mai ha deciso di intraprendere il mestiere di grafico?

Cercavo un’occupazione non ripetitiva, che mi offrisse l’opportunità di esprimere liberamente la mia creatività e la voglia di continua conoscenza. In qualità di padre di famiglia per i primi anni però mi sono dovuto adattare lavorando in un supermercato in piazza Bra. Ma la pittura è un’attività libera, personale, che nessuno mi ha imposto. Così a trentatré anni ho cominciato a pubblicare i primi calendari, ho lasciato il lavoro e mi sono dedicato a questa nuova attività imprenditoriale ampliando nel tempo la mia produzione, sono diventato anche editore di libri d’arte importanti, fotografici, o dedicati al territorio. Come pittore ho esposto principalmente a Verona, dove ho ottenuto diversi premi, ma il mio fine non era quello. Volevo essere nel mondo, ho partecipato quindi a collettive anche fuori Italia. Attraverso lo studio grafico sono diventato promotore dei miei messaggi artistici trovando così il modo di raggiungere molte persone.

Qual è la sua visione dell’arte?

Devo creare delle emozioni non solo parlando d’arte, ma affrontando il mondo che vive, l’andamento dell’Europa, il modo in cui si esprime la gente. La mia arte non è mai diventata astrattismo, deve rimanere comprensibile ed evidenziare la coerenza del mio percorso d’artista. Cerco di collaborare con la gente, ed esprimere aspetti della vita che trovo importanti, come la famiglia, la comunicazione tra l’uomo e la donna, lo sviluppo. La mia preoccupazione principale non è di carattere economico, questo mi libera dall’esigenza di dover produrre in serie: ogni mia opera è frutto di un percorso e di una ricerca unica, senza compromessi o ammiccamenti. Per me sono fondamentali i rapporti tra le persone. Al centro di tutto c’è sempre la comunicazione. Ma la mia arte non è proprio un messaggio, è piuttosto un viaggio durante il quale osservo non solo me stesso ma anche la vita che mi gira attorno, da cui attingo costantemente.



(intervista 2011 realizzata da Del Miglio per "I Protagonisti" - Verona - Del Miglio Editore)